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Le origini della pasta ripiena in Italia

Le origini della pasta ripiena in Italia

Ravioli, tortelli, tortellini: la pasta ripiena in Italia risale alle origini della nostra storia gastronomica. I nomi di queste specialità, però, hanno indicato prodotti molto diversi in varie epoche.

Tortelli e ravioli appaiono come nomi alternativi per i “crispelli (frittelle) di carne”, nel Libro della Cocina, uno dei primi testi scritti della tradizione italiana, composto in dialetto toscano alle fine del XIV o all’inizio del XV secolo. Ecco la ricetta, che non prevede pasta:

Prendi ventresca di porco scorticata, lessala, e tritala forte col coltello: togli erbe odorifere in bona quantità, e pestale forte nel mortaio: mettivi su del cascio fresco con esse et un poco di farina, e distempera con albume d’ova, sì che sia duro. E preso del grasso del porco fresco in bona quantità, metti ne la padella, sì che bolla, e fane crispelli; e cotti, e cavati, mettivi su del zuccaro. Altramente. Togli cascio fresco, trito forte: mettivi un poco di farina, e distempera con albume d’ova, sì che sia spesso; e metti a cocere con lardo, come detto è di sopra; e mettivi su zuccaro, come nell’altre cose fu detto.

La ricetta appare in latino nel più antico Liber de Coquina, di autore di area napoletana, in cui trova origine il Libro della Cocina. Nella ricetta latina, però, viene fatto riferimento ad un involucro:

In un sottile tortello di pasta dura, avvolgi gli ingredienti detti sopra alla grandezza di un uovo e cuoci in padella con molto grasso. E al posto della pasta puoi avvolgere nella pellicola che circonda il ventre commestibile (di animale commestibile, tipo rete di agnello, n.d.t) o altro simile. Condisci come vuoi.

Nel testo di Mastro Martino, che risale al XV secolo, il ripieno viene chiaramente avvolto nella pasta, che deve essere “ben sottile”:

Per fare ravioli in tempo di carne. Per farne dece menestre: togli meza libra di caso vecchio, et un pocho d’altro caso grasso et una libra di ventrescha di porcho grassa overo una tettha di vitella, et cocila allesso tanto che sia ben disfatta. Dapoi battila bene et togli di bone herbe ben battute, et pepe, garofoli, et zenzevero; et giongendovi il petto d’un cappone pesto serebe bono migliori. Et tutte queste cose distemperale inseme. Dapoi fagli la pasta ben sottile, et liga questa materia ne la pasta como vole essere. Et questi ravioli non siano maiori d’una meza castagna, et ponili accocere in brodo di cappone, o di carne bona, facto giallo di zafrano quando bolle. Et lassali bollire per spatio de doi paternostri. Dapoi fanne menestre, et mettili di sopra caso gratto et spetie dolci mescolate inseme. Et simili raffioli si posson fare di petto di fasani et starne et altre volatile.

Da notare il tempo di cottura di “due paternostri”…

 

[Crediti immagine: http://www.maestromartino.it]

Fabio Parasecoli è professore associato e direttore dei Food Studies presso la New School di New York. Fra i suoi numerosi incarichi, tiene corsi su food & media all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e scrive per l’Huffington Post. Il suo ultimo libro è “Al Dente: A History of Food in Italy”.

Fabio Parasecoli è professore associato e direttore dei Food Studies presso la New School di New York. Fra i suoi numerosi incarichi, tiene corsi su food & media all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e scrive per l’Huffington Post. Il suo ultimo libro è “Al Dente: A History of Food in Italy”.

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